Le Origini dei Profili Colore
Non so se vi sembrerà strano ciò che dico, ma più del 50% delle immagini che mi arrivano per la stampa, sono prive del profilo colore. Se accade questo, mi viene il dubio che molti non abbiano capito a cosa serve un “profilo colore”.
Andrò indietro nel tempo a quando (1989) ho installato in laboratorio il primo sistema per la elaborazione delle immagini digitali, questo, spero, dovrebbe aiutare a capire meglio la questione.
Il macchinario Kodak Premier , era costituito da uno scanner, una “work-station un monitor ed un fotorestitutore. Si trattava in pratica di un sistema “chiuso” in quanto lo scanner veniva calibrato tramite una pellicola fotografica, rappresentante una sequenza di quadrati con diverse densità di grigio. Questa pellicola veniva letta ed i valori di densità dei vari quadrati, venivano confrontati con una tabella interna (LUT) che automaticamente aggiornava i valori di calibrazione. Anche il fotorestitutore veniva calibrato in identico modo, si esponeva una pellicola fotografica con un file residente nel computer (simile a quello utilizzato per la calibrazione dello scanner), e dopo averla sviluppata, si procedeva alla sua lettura tramite lo scanner (già preventivamente calibrato).
Insomma, a parte il monitor, per il quale c’era uno strumento di lettura che comunque faceva riferimento ad una tabella interna, tutto il sistema si auto calibrava su se stesso e l’unico spazio colore, nel quale avvenivano tutte le operazioni, era quello della pellicola fotografica.
A quei tempi, con quella attrezzatura, si riusciva a fare dei duplicati di diapositive che erano perfettamente uguali agli originali in termini di colore e contrasto, e questo costituiva anche una parte rilevante del nostro lavoro.
I primi problemi
Ma con l’avvento dei primi sistemi di elaborazione nacquero i veri problemi. Molti clienti mi portavano immagini ottenute tramite altri scanner ed utilizzando software di elaborazione differenti, per poter avere un diapositivo o negativo da consegnare al loro cliente (non esistevano apparecchiature per la stampa diretta dei file).
Quando importavamo questi file nel nostro sistema, si vedeva immediatamente sul monitor che, in termini di densità, contrasto e colore, non poteva essere quella l’immagine voluta dai nostri clienti. In pratica accadeva che stavamo lavorando su spazi-colore completamente diversi, ed anche i nostri tentativi di avvicinare i nostri sistemi impiegando delle curve create appositamente, si rivelavano totalmente fallimentari.
Riuscivamo a risistemare le gradazioni dei grigi, ma non ci potevamo avvicinare con i valori cromatici.
Ecco perché sono nati i profili colore, per poter avere un linguaggio comune.
La definizione più usata per il profilo colore è “descrizione dello spazio colorimetrico” , ma se la volete spiegata in un modo ancora più semplice ed efficace, vi consiglio di leggere quanto scrive Marco Olivotto (pt.1 e pt.2). Tra le varie spiegazioni che appaiono sul web, ritengo siano quelle di più facile comprensione, anche se nei miei prossimi interventi vorrei cercare di far capire a tutti, in maniera elementare, cosa sono e perché sia necessario utilizzare i profili colore.
Se, come spero, avrete letto quei “tutorial” adesso vi sarà più facile capire perché ogni file deve essere accompagnato dal suo “profilo colore” , dato che questo costituisce la sua “carta di identità”.
Profili “ device-dependent “
Ogni “Hardware” presente nei nostri sistemi digitali, vive in un suo spazio colore. Vi sarete accorti che anche “monitor” della stessa marca, danno risultati diversi nella visualizzazione delle immagini. Figuriamoci cosa accade con monitor di diversi fabbricanti, dove vengono utilizzati differenti componenti elettronici e soprattutto differenti display. Questo senza considerare che una volta i monitor erano tutti del tipo CRT (tubo catodico) mentre in epoche più recenti questi sono stati sostituiti da monitor a cristalli liquidi (schermi LCD), a diodi organici (OLED) e più recentemente dalla tecnologia IGZO.

Profili Colore – Monitor, fotocamere, scanner e stampanti
I monitor
Metto i monitor in uno spazio a se, anche se ritengo che essi corrispondono esattamente ad un dispositivo di “output”, dove, invece che usare inchiostri o pigmenti, si utilizzano le “luci colorate” del display. Il motivo è che molto spesso per effettuare una stampa ci si serve di “service” esterni, mentre ognuno di noi deve utilizzare un display per poter vedere le sue immagini.
Senza addentrarci nelle varie tecnologie, è importante rilevare che alcuni monitor non sono assolutamente adatti all’uso con software di elaborazione digitale (parlo soprattutto di quelli che richiedono un angolo di osservazione quasi ortogonale, oltre naturalmente a quelli che per vecchiaia non riescono più a fornire risposte colorimetriche adeguate), ma per tutti esiste un grande problema. In virtù delle caratteristiche costruttive essi possiedono gamut diversi, e di conseguenza vivono in differenti spazi colore. Se a questo aggiungiamo le variazioni dovute all’usura, allora ci renderemo conto della enorme importanza della calibrazione, cioè di associare ad ogni monitor un profilo che lo caratterizzi.
Dispositivi di “input”
Analogamente questo discorso vale per i sensori di ricezione, siano essi collegati a scanner o a fotocamere digitali. Questi sensori sono costruttivamente diversi e subiscono l’influenza della tecnologia elettronica che viene utilizzata nelle realizzazione, oltre alla risposta dei filtri utilizzati per il “Mosaico di Bayer” nel caso delle fotocamere e ad innumerevoli altre varianti. Basterebbe citare, nel caso delle fotocamere digitali, quella legata all’algoritmo di trasformazione della immagine “raw” (interpolazione di Bayer), e per quanto riguarda gli scanner alla componente spettrale della luce di illuminazione.
Dispositivi di “output”
Quanto già detto, può essere riferito anche al discorso che riguarda le stampanti. Qui le possibili varianti sono addirittura superiori, dato che entreranno in gioco non solo le tecnologie dei macchinari, ma sopratutto i coloranti, e di conseguenza i relativi gamut, utilizzati nelle diverse tecnologie di stampa.
Nella stampa digitale su carta fotografica, vengono utilizzate delle attrezzature che sarei propenso a definire come fotorestitutori piuttosto che stampanti. I segnali digitali vengono convertiti in impulsi laser nei tre colori fondamentali e queste luci laser andranno ad impressionare /esporre il materiale fotosensibile che verrà successivamente “trattato” nella chimica fotografica. Saranno i “copulanti” giallo, magenta e ciano (legati alla chimica di trattamento) a stabilire lo spazio colore nel quale avverrà la trasformazione della immagine digitale in una stampa finale, con le possibili variabili legate alla produzione del materiale sensibile, alla chimica ed alla superficie di base (lucida-opaca-trasparente ecc).
Nel caso degli altri tipi di stampa digitale, vanno considerate le variabili legate ai tipi di inchiostri utilizzati (quelli che polimerizzano con la luce UV, gli eco-solventi, i toner i coloranti a sublimazione ecc.), e per ognuna di questa tipologie, la risposta spettrale dei vari inchiostri, pigmenti ecc, tenendo in considerazione per ognuno il tipo di superficie su cui si stamperà (carta lucida, opaca, pvc, plexiglass, ecc) che influenzerà non poco il risultato finale.
Se si vuole ottenere il massimo della qualità, tutto questo comporterà la necessità di avere un profilo per ogni combinazione, e quindi un lavoro molto impegnativo.
Qualcuno potrebbe meravigliarsi se dicessi che nel mio giro di lavoro sono costretto ad utilizzare circa un centinaio di profili-colore, la realtà è che, per fortuna, usiamo un numero limitato di materiali per la stampa ed anche poche stampanti.
Le stampanti inkjet
Successivamente vennero lanciate sul mercato le prime stampanti digitali inkjet. Avevano una risoluzione di stampa di 300 dpi. Non riuscivo a capire perché, pur avendo una risoluzione di stampa superiore a quella della mia macchina, le immagini apparivano meno nitide. Guardandole con un lentino si vedeva un numero incredibile di puntini, mentre guardando le stampe fotografiche non si vedeva niente.
Alla fine qualcuno mi spiegò che la risoluzione di stampa nei sistemi inkjet è determinata dalla risoluzione di stampa di ogni testina moltiplicata per il numero delle testine utilizzate. In realtà si trattava di stampa a 75 ppi (dato che si utilizavano 4 testine per gli inchiostri CMYK). Dico questo perché a nessuno venga in mente, sentendo che il proprio server di stampa utilizza una stampante da 1400 ppi o più, di interpolare una immagine fino a quel livello.
Profili Colore – Calibrazione Monitor
Prima di concludere questo discorso generale sui profili, su cui continuerò a parlare in un intervento successivo, vorrei mettere in rilievo l’importanza della calibrazione dei monitor.
Questa, se siete intenzionati a modificare digitalmente le vostre immagini, è veramente l’operazione fondamentale. Forse, dati i costi abbastanza contenuti dei software di calibrazione e relativo colorimetro, acquistarne uno sarebbe il migliore investimento da fare! Non voglio dilungarmi sulle procedure, anche perché ogni software ne prevede una sua particolare. In pratica sarà sufficiente seguire le istruzioni collegate. Questa calibrazione assocerà al vostro monitor un profilo e da quel momento vedrete una immagine, più o meno come io la vedo sul mio. Dico più o meno perché in realtà esistono monitor più costosi che hanno gamut molto più ampi (il mio ad esempio riesce a vedere tutti i colori contenuti nel profilo sRGB e se ben ricordo il 98% di quelli del profilo Adobe), ma nel complesso, a parte alcuni colori “estremi”, la visione della immagine sarà perfettamente compatibile. In ogni caso non fidatevi a fare le calibrazioni ad occhio.
Un ultimo consiglio, per coloro che desiderassero ottenere una stampa dal loro file: ricordatevi sempre che l’immagine che vedete sul monitor somiglia a quella di una stampa fatta su materiali retroilluminati (è lo stesso problema che cercavo di spiegare ai miei clienti quando si eseguivano stampe su Cibachrome dai diapositivi).
Nella realtà il bianco del materiale di stampa non sarà mai paragonabile a quello del monitor, per cui aspettatevi sempre una stampa con tonalità un po’ più basse, tendenzialmente meno luminosa e leggermente meno satura nei colori. Ma qui conta soprattutto l’esperienza.