Era già da un po’ di tempo che volevo condividere parte delle mie ormai ultra-sessantennali esperienze come tecnico di laboratorio fotografico.
E’ stato sempre un desiderio latente poter dare il mio modesto contributo a questa materia, spesso complessa, e aiutare a chiarire alcune particolari tematiche oggetto di incomprensioni, a volte ricorrenti, anche da parte di utenti esperti.
Lo scopo non è ovviamente quello di sfoggiare competenze che sono facilmente acquisibili da tutti tramite rete, ma solo di fornire dei consigli, spero utili ad ottenere i migliori risultati possibili dal punto di vista qualitativo. Avevo sempre rimandato, ma ieri mi è accaduto qualcosa che mi ha convinto a cominciare.
Conversione RGB in CMYK: perché?
Una cara cliente (e ormai carissima amica) mi ha mandato un messaggio, chiedendomi se potevo aiutarla a convertire alcune fotografie scattate in RGB in documenti CMYK.
Aveva bisogno di partecipare alla selezione per un concorso, nel cui bando era specificatamente prevista tale tipologia di conversione. Sono rimasto sinceramente sorpreso da tale richiesta, a tal punto che mi sono fatto mandare il testo della gara. Era proprio così, la richiesta incredibile a dirsi (almeno per chi di fotografia si occupa professionalmente) era quella. Andiamo a vedere i motivi della mia incredulità.
La conversione rischia di essere un processo irreversibile.
Cercherò a questo punto di fare “luce” sulla questione RGB-CMYK.
Non voglio dilungarmi sui due sistemi di rappresentazione del colore, di cui già esiste ampia e valida documentazione nel web. L’aspetto fondamentale sul quale intendo richiamare l’attenzione è che in fase di ripresa, scansione o comunque acquisizione di una immagine, si utilizza sempre il metodo RGB. Questo dipende da motivi sia tecnici che qualitativi.
I sensori delle macchine fotografiche digitali e degli scanner, emulando la tecnologia della vecchia pellicola fotografica, sono sensibili a tre colori. Questi vengono definiti come additivi primari e sono il rosso, il verde ed il blu (in inglese RGB). Inoltre, aspetto non banale, il “gamut” cioè l’insieme dei colori che possono essere descritti dalla metodologia RGB, è notevolmente più ampio di quello del CMYK.
Senza addentrarmi sull’importanza nell’uso dei profili colore, di cui ho intenzione di parlare in un prossimo “appunto”, mi limito a sottolineare quanto segue.
Cosa comporta una “conversione”
Convertire un file originariamente creato con il metodo RGB in CMYK implica necessariamente una “trasformazione” significativa ed “irreversibile” dello stesso.
In pratica avverrà il passaggio da un documento nato originariamente con un certo profilo di input (sRGB, Adobe RGB, ProPhoto RGB o altro) ad un nuovo documento.
Questo incorporerà in uno spazio colore diverso un profilo di output legato alla stampante. Tale profilo dipenderà dagli inchiostri utilizzati, dai pigmenti dai copulanti fotografici, ed dal tipo di supporto utilizzato. Potete fare voi stessi la prova che ho fatto io. Prendete un file e, dopo averne fatto un duplicato (operazione che consiglio a tutti prima di effettuare qualunque modifica “irreversibile”) convertitelo in CMYK.
Utilizzate per esempio un profilo Euroscale Coated e successivamente riconvertitelo in RGB. Se aprirete ora il file originale e lo metterete vicino, vi accorgerete che sono diversi tra loro! (vedi Fig-1)

Perché la conversione non ha senso: un piccolo esperimento per capire meglio
Prima di procedere al secondo esperimento, c’è un altro punto da rimarcare, forse banale, ma molto importante.
Il concetto è che la richiesta di convertire un documento RGB in CMYK non potrà mai prescindere dalla indicazione del profilo colore che dovrà venire utilizzato nella stampa successiva. Tale aspetto peraltro costituisce l’unico motivo di utilizzo di un documento in CMYK. Questo metodo non è adatto ad una post-produzione, nè tantomeno alla visualizzazione!!
Per rendere più chiaro quanto appena illustrato, utilizzo un esempio pratico. Nella immagine allegata (Fig-2) sono partito da un documento in RGB ed ho operato sei conversioni in CMYK. Ho utilizzato sei diversi profili “standard” di output. Successivamente ho aperto sul mio monitor le sei immagini ed ho creato uno screen-shot. In Questo modo è possibile vedere le notevoli differenze tra le molteplici trasformazioni. Ognuna di queste immagini, se pur diverse nella visualizzazione, sarà in grado (utilizzata su una stampante che ne usa il rispettivo profilo) di dare una “stampa giusta”. Le sei stampe (ottenute dalle sei ipotetiche stampanti) messe vicine tra loro, saranno viste dai vostri occhi come estremamente simili nella cromia e nei contrasti. Questo avverrà al di la delle necessarie differenze dovute all’uso di differenti inchiostri o pigmenti. All’atto pratico ci saranno minori differenze tra le sei stampe di quante se ne percepiscano sul monitor.
Uso dei profili colore
A tutto questo va aggiunto che l’esempio che ho riportato, è stato ottenuto utilizzando dei profili di output “standard”. Si tratta di profili che si trovano insieme ai sistemi operativi sia Mac che Win. Ma quando si produce effettivamente una stampa la realtà è molto diversa.
Per esempio un profilo di output per la stampa su materiale fotografico (parlo del vero fotografico, cioè quello impressionato dalla luce) deve necessariamente essere un profilo RGB. Infatti la carta fotografica (come anche la pellicola o qualsiasi supporto sensibile alla luce) risponde cromaticamente alle radiazioni rossa,verde e blu.
Le stampanti a getto di inchiostro possono utilizzare diverse metodologie.
Alcune prevedono l’impiego di inchiostri o pigmenti light (in aggiunta ai normali CMYK). Altre invece, ricorrono all’uso della esacromia. Ne consegue che i profili di stampa saranno profili “particolari”. Nella maggior parte dei casi li possiede soltanto chi opera la stampa. Si tratta di profili generati con l’uso di particolari strumenti (spettrofotometri o colorimetricollegati a particolari software.
Anche di questo mi riprometto di parlarne in una occasione successiva. L’unica cosa che vorrei fare presente è che un laboratorio che vuole offrire una stampa di qualità, non può fare a meno di utilizzare tali strumenti. Tutti i profili vanno ricontrollati con una certa periodicità. Qualunque cambiamento, nel supporto utilizzato o negli inchiostri/pigmenti, presuppone la creazione di un profilo colore ad hoc.
Conclusione
Se avete una stampante “casalinga” reputo che la cosa migliore sia quella di usare i profili forniti dalla casa costruttrice.
Forse non otterrete sempre una super-stampa, ma sicuramente, seguendo le istruzioni, potrete comunque ottenere una buona stampa. Naturalmente fino al momento in cui, per fare economia, non proverete ad usare inchiostri alternativi.
Se vi affidate ad uno stampatore esterno, prendete un contatto per avere le indicazioni sulla preparazione dei file. Assicuratevi con discrezione che faccia uso delle tecnologie che sono alla base di una stampa di qualità. Forse pagherete qualcosa di più, ma otterrete sicuramente la soddisfazione di un buon risultato.
Per concludere, come ho consigliato alla mia amica, manda pure le immagini in CMYK, dato che questa è la richiesta. Usa tra i profili quello che ti permette di visualizzare sul tuo monitor calibrato un’immagine più possibile simile a quella originale in RGB. Ma ti raccomando, quando dovrai effettuare la stampa finale, mandami il documento originale in RGB! Al resto ci penserò io.
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